“Quando il primo bambino rise per la prima volta, la sua risata si sbricioló in migliaia di frammenti che si sparpagliarono qua e là. Fu così che nacquero le fate.”
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È così che tutto ha inizio, è così che James M. Barrie ci porta sull’isola che non c’è seguendo Peter Pan, la sua voce, quello sguardo da bambino che indica “...la seconda stella a destra e poi diritto fino al mattino.” E quel sorriso, quel momento, quella notte in cui Peter Pan entra nella stanza di Wendy per portarla via con sé, lontano “...dalle cose dei grandi”.
Un po’ di polvere di fata, un pensiero felice e ogni avventura può cominciare.
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Peter Pan è lì, è con noi, è dentro ognuno di noi.
Ma poi tutto finisce: Wendy deve diventare grande, ma non lui, non Peter Pan. L’eterno ragazzo che, quando chiudiamo gli occhi, sogniamo che arrivi a bussare alla nostra finestra per portarci via, per portarci con lui forse per un momento, forse per quell’istante che duri tutta una vita.
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Così ci perdiamo tra le pagine di un libro che è, forse, la favola che tutti vorremmo vivere, trascinati in un mondo irreale, dove vivono le fate, dove poter giocare con i bimbi smarriti e veder nuotare le sirene tra una battaglia e un’altra con Capitan Uncino.
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